Paese strano davvero l’America.
Ok, sarebbe più corretto dire U.S.A. ma per gli italiani già la parola America ha il suono e una fascinazione tutta sua e poco contano i distinguo.
E “Il processo ai Chicago Seven” (in programmazione su Netflix) è uno di quei film tanto perfetti nel raccontare la stranezza e la fascinazione di questo enorme Paese che pur mettendo in scena la “semplice” realtà di quanto avvenuto sembra che la Storia si sia divertita a stendere un copione da cedere a Hollywood quando si fosse trovata a corto di storie.
Eppure, tanto è il materiale che ci sarebbe stato da raccontare che il film, per motivi di tempo, nemmeno riesce a raccontarlo tutto, la figura dell’incredibile legale William Kunstler, ad esempio, meriterebbe un’opera a parte.
La penna (anche se questa volta lo troviamo anche – molto degnamente – dietro la macchina da presa) è quella di Aaron Sorkin, sua la scrittura di A Few Good Men, diventato ormai un classico, anche in Italia, col nome di Codice d’onore (sì, proprio quello con Jack Nicholson, Tom Cruise e Demi Moore) e cito questo solo per farvi immaginare quanto si trovi a proprio agio nel raccontare un processo.
Il cast è di livello altissimo con i protagonisti che si divertono a fare a gara tra loro e dove anche i figuranti sembrano aver anni di accademia alle spalle.
In scena una generazione che provava a combattere fino a vincere (con i fiori infilati nelle baionette dei poliziotti o con bottiglie incendiarie) una politica che considerava i cittadini come semplici pedine da sacrificare in nome di interessi economici, politici e geopolitici.
Uno strano Paese l’America che – nel silenzio della maggioranza – ogni due anni ha più morti di quelli avuti in Vietnam nel nome del secondo emendamento (vendita di armi, anche d’assalto a tutti) e seppellisce più morti per Covid di quanti hanno perso la vita nelle sue ultime guerre.
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