Mi chiamo N.

Non l’ho costruito io questo mondo, ma non per questo voglio rinunciare a viverci.

“…e così mi accusate dicendo che a già a quella recita gli occhi e gli applausi non fossero per me ma per la mia veste troppo corta e il seno che si faceva notare lì sotto?
Ma io sono ANCHE quelle gambe e quel seno.
Perché per noi donne ANCHE deve diventare sempre SOLO?
Dite che è la “società” a essere così?
Ma cosa vuol dire “società” se non un’astrazione per prendere le distanze dalle proprie scelte?
La “società” sono anche io, e se io non la penso in questo modo allora a pensarla così non è la “società” ma siete solo voi a pensarla così.
SOLO.
Anche se siete in maggioranza.”

Questo è uno dei momenti più forti di “Mi chiamo N.” monologo scritto e diretto da Massimo Piccolo per Noemi Gherrero (anche presentatrice, in Rai fino allo scorso anno con Le parole per dirlo la domenica mattina su Rai3) con musiche originali di Eunice Petito.

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SNAP! – THE WATCHER

Quando la tecnica narrativa supera (di gran lunga) il contenuto.

Immaginate di essere il fortunato (o la fortunata) invitato (o invitata) allo strip-tease di una persona che, a prima acchito, potrebbe essere in grado di farvi girare sul serio la testa.

Bene. Immaginate poi che questa riesca, con una perfetta sapienza di moine e movimenti a tenervi incollati per tantissimo tempo a guardare l’esibizione.

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SNAP – INVENTING ANNA

 Tra le tantissime dissertazioni che hanno accompagnato l’uscita e il successo di questa bella serie Netflix mi sembra – ma non vorrei sbagliare – che nessuno abbia citato l’antenato letterario più illustre che sottende a tutta la vicenda di Anna Delvey, il racconto di Mark Twain intitolato “La banconota da un milione di sterline”.

E il fatto che la storia di Anna Delvey sia vera, rende il racconto di Twain (di come l’allure della ricchezza fosse essa stessa già ricchezza e di come la furbizia contasse più dei soldi), scritto quasi centotrenta anni fa, ancora più incredibilmente attuale.

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E.Si.Le (Estrema Sintesi Letteraria):  Orient – Christopher Bollen 

Prendete una costruzione letteraria thriller estremamente contemporanea, con cliffhanger già piazzati strategicamente perché gli sceneggiatori della probabile serie tv non debbano fare troppa fatica nella divisione delle probabili puntate (alla maniera de “La verità sul caso Harry Quebert” per intenderci), aggiungete un vero talento letterario nutrito con i grandi classici della letteratura americana (da Henry James a Philip Roth passando per Francis Scott Fitgerald), così da costruire una “cattedrale” intorno alle proprie ossessioni (nello specifico vecchiaia e morte).

Questi gli ingredienti cucinati con grande maestria da Christopher Bollen, l’autore di questo romanzo thriller dove l’uso di romanzo prima del genere serve quasi a rimarcare le due anime dell’opera, una completamente letteraria, l’altra perfettamente di genere.

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SNAP! – IL VISIONARIO MONDO DI LOUIS WAIN

Il biopic sulla vita dell’illustratore inglese Louis Wain – quello dei gatti antropomorfi vestiti alla moda, per capirci – se guardato con una certa sensibilità, nasconde un po’ più insidie di quello che potrebbe sembrare.

Per prima cosa, è oggetto da trattare con cura; come tutte le biografie estese, che seguono un arco temporale che muove dalla prima giovinezza fino alla morte, racconta la caducità dell’esistenza escludendo, più o meno di fatto, il classico “lieto fine”, dovendo così ripiegare su una chiusura diversa.

Altro punto da segnalare è che la vita di Louis Wain (impersonato benissimo da Benedict Cumberbatch, in una delle sue interpretazioni più belle), è stata tutt’altro che semplice e, al contrario delle biografie edificanti (per fare un esempio, Charles Dickens: l’uomo che inventò il Natale), i fallimenti e le debolezze di Wain non sono mai realmente riscattati e anche quando gli arriva successo, che pure gli ha consegnato una fama che ancora dura, ci dà l’impressione di non riuscire a dissetare realmente la sua voglia di affermarsi come artista (e tantomeno gli risolve i gravosi problemi economici che sopporta fin da giovanissimo).

Unico lampo di luce davvero cristallina è la storia d’amore, scandalosa per l’epoca, con la governante delle sorelle, poi sua moglie, Emily Richardson (interpretata con delizioso vigore da Claire Foy), interrotta nel pieno della passione, per uno dei tanti eventi tragici delle vite intorno a quelle del protagonista.

Logico (anche se forse un po’ troppo anticipato dalla fotografia, molto bella ma in alcuni momenti, un po’ didascalica, di Erik Wilson), che in questo rifugio romantico, il regista Will Sharpe, cercasse riparo per la chiusura della storia, provando a bilanciare inevitabili magone e lacrime con poesia e bellezza.

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