Il cancro (ottuso) del calcio.

Gli juventini rubano, i napoletani puzzano.

Il Vesuvio deve fare il suo dovere, di Heysel ce ne devono essere altre 100.

Mentre festeggiano lo scudetto a Torino ci sono cori contro i napoletani, mentre la Juventus gioca la finale di Champions, a Napoli si vendono bandiere per festeggiare la sconfitta della Juve.

Quelli sono rubentini, quegli altri napolecani.

Il Napoli è colera, la Juve è merda.

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Il calcio è un bellissimo gioco.

I tifosi, dall’ultrà violento “all’intellettuale” salottiero, ne sono il cancro ottuso.

 

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L’Odio.

Odiate quel politico perché dite che vi ha rovinato la vita e l’Italia intera, poi odiate i suoi familiari perché sono come lui o magari peggio, odiate anche quelli che lo votano perché, in fondo, è colpa loro se lui è lì.

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Odiate la squadra di calcio avversaria perché è disonesta a differenza della vostra, odiate tutti i quelli che hanno indossato quella maglia e poi tutti quelli che tifano per quei colori; Continua a leggere

La banalità dell’odio ai tempi di facebook.

Che si tratti di pidiodi o 5stalle, rubentini o napolecani, zingari, musulmani, Belen, D’Alessio, la Tatangelo, Wanda e Icardi , gay e lesbiche, toreador, cacciatori di Pokemon, madri disgraziatecarnivori o vegani davvero importa poco. L’importante è odiare, riversare contro qualcuno o qualcosa tutto il peggio che il riparo del monitor o dello smartphone possono assicurarti.

higuain

L’aver dichiarato più volte che per me facebook sia la più grande rivoluzione nel campo della comunicazione dai tempi della stampa a carattere mobile e che sia stato addirittura più incisivo della radio e della tv, mi evita l’accusa di luddismo tecnologico che spesso, giustamente, colpisce chi guarda con sospetto le nuove tecnologie, ma il dubbio che il mezzo (in questo caso facebook) in qualche modo sia esso stesso causa, almeno per i NON nativi digitale dotati già per nascita degli anticorpi necessari, della frustrazione che poi si riversa nell’odio da tastiera è un’ipotesi che andrebbe approfondita.

Intanto è interessante annotare che c’è chi ha già imparato a guadagnarci qualche spicciolo creando contenuti falsi ad hoc (le famose bufale) per far cliccare e commentare (ovviamente riversando commenti al vetriolo) i culturalmente meno attrezzati (per età, di solito oltre la trentina, e studi).

Dalle onnipresenti scie chimiche per dare contro al Nuovo Ordine Mondiale al bicarbonato che cura il cancro per attaccare la lobbie delle case farmaceutiche, dalla carta di credito in regalo a tutti gli immigrati per colpire i governanti all’obbligo di cedere un posto in casa ai rifugiati per andare contro la Boldrini e così via non risparmiando niente e nessuno.

Ovviamente a questo meccanismo pernicioso e perverso non si sottraggono la realtà e la cronaca dando vita a un calderone – a tratti grottesco – dove con la stessa estrema intensità si riescono a postare l’immagine del manichino impiccato di Higuain e quelle dell’ultima strage dei terroristi.

C’è poi chi addirittura, l’attrice Federica Cacciola, ha inventato un personaggio “Martina dell’Ombra” per sfruttare questa “debolezza” dei social per diventare famosa. Riuscendoci. Chapeau.

 

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Sarri, Mancini e il calo della produttività

Una volta c’era il bar per parlare del nulla.

Mancini

E, non a caso, quando ci si perdeva a dissertare sul nulla si diceva: “queste sono chiacchiere da bar”.

Niente di male a parlare del nulla (tipo le offese tra allenatori di squadre di calcio), si è sempre fatto, aveva anche una funzione sociale e psicologica importante: delineava relazioni, rappresentava uno sfogo dalla vita reale, aveva una funzione, in qualche modo, di benefica astrazione dal reale.

Capitava poi che qualche strascico di quelle discussioni si portava in ufficio e, di solito, nella pausa pranzo o caffè se ne riparlava.

Tutto qua.

Cosa è cambiato adesso?

Semplice, che quelle chiacchiere da bar, le dissertazioni sul nulla, riescono a protrarsi per l’intera giornata grazie ai social e tutto il sistema della comunicazione che si è sviluppato intorno.

Prima, tra il bar e l’ufficio si scambiavano le opinioni con 5,10, 20 persone al massimo e una volta chiarite o no le posizioni si doveva necessariamente andare avanti.

Oggi, invece, la platea è composta da 500, 1000, 5000 persone e le chiacchiere possono moltiplicarsi all’infinito, per l’intera giornata (a parte qualche piccola pausa per il lavoro – chi è controllato).

A questo si aggiunga la giungla dei media, ormai tutti collegati a facebook e twitter che non vedono l’ora che si abbia qualche #tendenza per buttarcisi a capofitto.

Ed eccoci al tipico “cortocircuito” (che i 3 o 4 che hanno la bontà di leggermi sanno che amo tanto).

Individuata la #tendenza i media collegati ai social iniziano a produrre prima del materiale attinente (nel caso del nulla di oggi: ricostruzione dei fatti, interviste a Mancini e Sarri, precedenti illustri, episodi del passato) poi del materiale speculativo (possibili ripercussioni, dietrologie, ipotesi complottistiche ecc ecc).

A questo poi si aggiunge il materiale prodotto dagli stessi utenti (vignette, elaborazioni fotografiche satiriche ecc ecc).

Risultato: per tutta la giornata si potrà, grazie al ricambio di persone e alle (non)notizie sempre fresche dibattere sul nulla.

Ci sarebbe da riflettere anche su quanto questo sistema dal punto di vista economico sia folle: meno produttività sul lavoro e personale a fronte di un guadagno per i media collegati non sufficiente a compensare le perdite. Ma questo è un altro discorso.

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Napoli: Giletti, Cruciani, Selvaggia Lucarelli (infine Facci) e la pizza margherita.

Quando ben tre dei miei quattro lettori mi hanno chiesto come mai non fossi intervenuto anch’io sull’affaire Giletti ho semplicemente nicchiato, la faccenda mi è sembrata così stupida (come può una città essere “indecorosa”? è già rarissimo poterlo dire con sicurezza di una persona, figuriamoci di una metropoli composta da milioni di anime, migliaia di case e centinaia di strade e vicoli) da non meritare risposta se non dai politici e dagli organismi preposti (leggi vertici rai).

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Poi, per ventura, mi è capitato di ascoltare l’intervento del buon Cruciani (radio24 e qualche ospitata in giro sul calcio) e della sua degna compare (per intelligenza) Selvaggia Lucarelli, prontissimi a lamentarsi della suscettibilità napoletana. E (piccolo aggiornamento del 5 novembre) a questi si è aggiunto anche Filippo Facci.

Bene. E chiedo ai miei quattro lettori di sopra di informare anche i loro amici. Come persone ben più autorevoli di me hanno già scritto e spiegato Napoli è un brand che vende. Nell’immaginario collettivo è qualcosa che continua a suscitare fascinazioni estreme.

Ripeto qui quanto scriveva De Sanctis nella seconda metà dell’’800 (passato alla storia certamente non per la sua simpatia verso il meridione) “La Dama sta pubblicando il suo lavoro di mera speculazione, e deve essere un’accozzaglia, una sciocchezza. L’editore le aveva detto – fate un lavoro sopra Napoli che si venderà…”

E qui quanto scritto da Eduardo De Filippo su come le notizie su Napoli fossero sempre esagerate per fare scena: “A Napule è sparito nu piroscafo cu tutto ‘o carico». E nun è vero, brigadie’. Nun po’ essere overo. Chi ci crede è in malafede. Ma scusate, come sparisce nu piroscafo? Ch’è fatto, nu portamonete?”

Morale: qualcosa mi dice che Giletti domenica farà una puntata speciale dell’Arena su Napoli e fino a quando “il morto (giornalisticamente) sarà caldo” Napoli avrà regalato un po’ di visibilità anche ai vari Giletti, Cruciani, Lucarelli e chi vorrà aggiungersi.

Un po’ come il furto della pizza Margherita e la regina savoia che alla fine dell’800 si ritrovò con la pizza più mangiata di Napoli(da almeno 20 anni) avuta in dedica, e al tempo si pensava che questo potesse servire per rendere celebre la pizza in Italia mentre, in realtà poi, è stata la pizza Margherita a far sì che qualcuno, nel mondo, ricordasse, vagamente, che sia esistita anche una regina con quel nome…

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L’invenzione del Paradiso borbonico di Galasso ? No. La realtà dell’inferno di un popolo senza radici.

Riflessioni su Napoli tra realtà e percezione (purtroppo) sempre attuali.

Quello che colpisce del richiamo dell’esimio professore Giuseppe Galasso, classe 1929, formatosi nel pieno di quello che è stato definito l’approccio teologico al Risorgimento (anche da Lucy Riall della London University) non è certamente lo stigmatizzare l’uso improprio di discutibilissimi testi pro-borbonici o meglio ancora anti-risorgimentali, spesso poco più che narrativa spacciata per storiografia che attinge da fonti inattendibili quando non fasulle (e in questo internet ha non poche colpe), né il giustificare la volontà delle case editrici di stampare e spingere queste vendite per “la moneta”.

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Quello che colpisce è l’individuare la causa come reazione ai movimenti (ex)separatisti o localistici come la lega. Adesso, che il movimento storico revisionista abbia preso piede negli anni ’90 è indubbio, ma che il movimento sia iniziato almeno venti anni prima è innegabile. E in aggiunta, pensare solo a questa come causa, a mio avviso, non è assolutamente sufficiente a spiegare un fenomeno di ben altra portata e importanza.

E’ possibile che ancora oggi non si riconosca che per “fare gli italiani” ci sia stato bisogno, sicuramente per prassi e in buona fede, di operare una complessa operazione di “rimozione della memoria”? Poteva bastare cambiare il nome alle strade e impossessarsi di Palazzi e Regge perché una Capitale diventasse provincia nell’arco di due mesi? O inventare la storiella della pizza margherita perché i napoletani diventassero devoti al re francese?

Come si può non riconoscere che questo vuoto abbia generato dei mostri, come una distanza mai colmata con le istituzioni? a meno di non volersi accontentare della tanto amata frase usata dalla propaganda risorgimentista del “Paradiso abitato da diavoli”?

E come dimenticare il peso della rappresentazione negativa diffusa dei meridionali nata con gli esuli del ’48, per lo più borghesi costretti (a differenza di quelli del ’21) a integrarsi con molta fatica nel tessuto del nuovo Paese ospitante e perciò, come splendidamente spiega Marta Petrusewicz, latori di giudizi bipolari positivo/negativo tra la nuova patria e quella di origine creando tutta una serie di antinomie civiltà/barbarie, dolcezza/dolore, progresso/arretratezza, libertà/tirannia ?

E come non riconoscere lo stesso meccanismo nei nuovi “esuli”, quelli della migrazione interna del dopoguerra fino alla fine dello scorso secolo e quelli della migrazione esterna del nuovo millennio ?

Si può ignorare questo complesso di inferiorità indotto a tutto i meridionali dal razzismo, non solo sul piano sociale e nei media, ma addirittura sui libri di testo, dove la lunga storia del regno dei Borbone era liquidata in poche righe, tutte negative, e vista solo come preparazione alla “liberazione” da parte degli eroi del Risorgimento (e di come siano stati inventati questi eroi ci illuminano immensi storici, a partire da D. Mack Smith a seguire).

Poteva quindi bastare per sempre la favoletta dei mille dell’eroe “biondo, bello come un dio”, a cancellare quella che in realtà fu una sanguinosissima guerra, prima di conquista verso uno Stato libero, indipendente e neutrale (tale era il Regno delle due Sicilie) che vide impegnati oltre 100.000 soldati e poi guerra civile trascinatasi per anni (come riporta, tra gli altri, anche l’esimio professore Roberto Martucci dell’università del Salento).

Può un busto di Cavour in ogni città far dimenticare la strage di Bronte o lo scempio a Michelina de Cesare ?

Illudersi che quello dei Borbone fosse un paradiso lasciamolo alle fantasie dei neo-borbonici, ma essere orgogliosi che le nostre radici affondino in un Regno che ha sicuramente più meriti e gloria, per noi meridionali, della breve parentesi savoiarda iniziata con le stragi di migliaia di meridionali e terminata con la morte di centinaia di migliaia di italiani forse può rappresentare un buon punto di inizio per ripartire.

Ps. Sulla scrivere per “la moneta” riportando De Sanctis “La Dama (ndr specializzata in scritti contro i borbone) sta pubblicando il suo lavoro di mera speculazione, e deve essere un’accozzaglia, una sciocchezza. L’editore le aveva detto – fate un lavoro sopra Napoli che si venderà…”

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Il pezzo sopra è la trascrizione di quanto ho scritto per Il Mattino

http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/l_amp_rsquo_inferno_di_un_popolo_senza_radici/notizie/1484412.shtml