Ci sono canzoni che sembrano libri o, se proprio vogliamo semplificare, racconti.
Quando la scorsa settimana parlando del bel brano di Elodie, Vertigine (qui per i più curiosi), soffermandomi sulla nuova tendenza commerciale di affidare un brano a tre o quattro autori per incontrare con una certa tranquillità i gusti del pubblico ho scritto che l’aspetto “romantico” dell’autore ne risentiva non poco, sono stato un po’ superficiale e troppo ottimista.
Quello che ne risente sicuramente è l’aspetto letterario dell’opera, nel vero senso del termine. Le canzoni smettono di essere forme letterario/poetiche lunghe qualche minuto per diventare un insieme di blocchi di frasi che vanno dai 10 ai 20 secondi.
Non molto adatte a un ascolto “studiato” con tanto di lettura del testo a fronte ma perfette come sottofondo per i reels di Instagram o i video di Tic Toc.
Sia chiaro, con questo non voglio dire che prima tutte le canzoni fossero baciate dai Dei della letteratura e adesso questo tipo di scrittura non esista più, ma che a dominare vendite e classifiche non vi siano più “autori veri” e che i pochi interessanti in tal senso (i primi che mi vengono in mente: Fulminacci, Giò Evan e la Vicario), stiano un po’ ai margini qualcosa pure vorrà dire.
(In Adesso la pubblicità, Baglioni apre con un’immagine – una ragazza che guarda da dietro a un vetro – poi fotografa le storie di quattro personaggi, suggerendone vissuto, classe sociale, istruzione, destini e, prima di chiudere, riesce a metterci dentro – in punta di fioretto – anche lo stridore tra la realtà vissuta e quella raccontata in quell’Italia che nel pieno dell’illusione degli anni ’80 iniziava a rimbambirsi di sogni televisivi piuttosto che affrontare le difficoltà dell’esistenza, per poi chiudere sulla stessa immagine iniziale lasciando – mi si passi il lessico un po’ baglioniano – un lumicino di speranza).
E no, non basta infilare la parola “anima” (magari ripetuta una decina di volte), per scrivere un testo da “autore vero”.