Prima o poi, anche noi progressisti, i conti con i “guai” fatti da una certa élite culturale di sinistra degli ’70 e parte degli ’80 (ma che con la loro onda lunga arrivano fino a oggi), dovremo farli.
Potremmo parlare del “sei politico” o del perverso fraintendimento che il doveroso rispetto per ogni individuo e il lavoro di ogni individuo corrispondesse al valore delle sue opinioni in ogni campo (che è poi generato nel patetico “uno vale uno”), confondendo la giustizia sociale del far sì che il figlio di una cameriera avesse le stesse possibilità di avere una carriera brillante come astrofisico del figlio di un astrofisico, col fatto che le opinioni di una cameriera nel campo astrofisico avessero lo stesso valore di quelle di un astrofisico.
Ma limitiamoci alla musica dove, per un fraintendimento non dissimile a quello che oggi si chiama analfabetismo funzionale, quella piaga che riduce la verifica della realtà al rapporto con le sole esperienze personali (tipo: io e i miei familiari non sono “mai” morti di morbillo quindi il morbillo non uccide), si è portati, in base a una conoscenza superficiale di Baglioni, a crederlo solo quello delle canzoni d’amore.
Ironia della sorte, Baglioni, per estrazione sociale e “ambientale”, forse è stato uno dei più vicini all’ambiente proletario e lontano da quello borghese rispetto ai paladini “della musica della sinistra” adottati dall’élite di sopra. Ma tant’è.
Altro aspetto importante, ma da non sottovalutare, è che Baglioni ha avuto, fin da subito, un successo straordinario. Nel 1972, a soli 21 anni pubblica “Questo piccolo grande amore”. Nel 1975, Rino Gaetano, nel celebre “Il cielo è sempre più blu”, inserisce la frase “…chi copia Baglioni”. E in Italia, si sa, ti si può perdonare tutto, tranne il successo. Specie se è indipendente dalla volontà di chi organizza i vari festival dell’Unità o cose del genere.
Già nel ’71, con Vecchio Samuel, Baglioni aveva iniziato a raccontare quella carovana di personaggi borderline, il bassissimo proletariato, gli ultimi, i dimenticati dalla società, quelli che l’hanno portato fino ai migranti facendo esplodere il “caso politico”.
Nel ’74 fa conoscere una delle poesie più belle di Trilussa a tutta Italia, musicando “Ninna nanna”.
Nel ’77 è la volta di “200 lire di castagne”, “Nel sole nel sale nel sud”, “Gesù caro fratello” e “Strep-tease”, nel ’78 “Ancora la pioggia cadrà”. Nel 1981 tocca ai “Vecchi” e alle “Ragazze dell’Est”.
Nel 1985, a soli 34 anni, arrivano “Uomini persi” e un vero capolavoro da grande narratore di quella società proletaria e piccolissimo borghese che non l’abbandonerà mai, “Adesso la pubblicità”.
Nel ’90, tocca a “Naso di falco”, “Qui Dio non c’è” e “Tieniamente”, nel ‘95, V.O.T., nel ’99 altra grande vetta sul “tema” con “Un mondo a forma di te”.
Nel 2003, è la volta di “Per incanto e per amore”, oltre a “Requiem”, nel 2013 “In cammino” e “Isole del Sud”.
da “Un mondo a forma di te”: un grano di utopia / ti porto al mio ritorno / un universo mio senza colore/ i bianchi misero i neri / a combattere i gialli per tenersi ciò che presero ai rossi / le borse crebbero a nord/ sulla fame del sud / mafie dell’est nelle banche dell’ovest / le madri piansero i figli che non sono tornati / da una guerra stuprarono donne…