“…man mano che si allontanava da quel posto i rumori della festa diventavano ovattati e le luci del castello più fioche. Magari avesse potuto dire lo stesso della tristezza che lo seguiva. Feroce e fedele come un mastino che ha imparato a tenere il passo.”
Qui mi piaceva giocare con un’immagine abbastanza comune, l’illusione che basti allontanarsi da una situazione che, in qualche modo, ci ha dato della sofferenza per potercela lasciare alle spalle.
Mera illusione, dal momento che tutto quello che ci ha fatto male, in realtà, continuiamo a portarcelo dentro.
Anche l’immagine di un sentimento che ci fa compagnia come fosse un cane è stata già ampiamente usata nella letteratura, e anche in quella forma letteraria stupendamente pop che è la scrittura di testi per canzoni, a tal proposito mi piace citare “ci sarà fedele sempre il cane del rimorso” di Baglioni.
Quello che però mi ha convinto a tenere questo periodo è stata innanzi tutto la rilevanza narrativa – mi serviva far capire al lettore i movimenti di Juan – poi la sfumatura del contrasto che ben, a mio avviso, rende l’idea di una persona che si allontana, quasi fuggendo, da un posto e, in ultimo, ma non meno importante, la caratterizzazione del cane, il fatto che sia un “mastino”.
Provare a specificare quanto siamo bravi ad “allevare” dei sentimenti “feroci” e come li addestriamo a “tenere il nostro passo” mi sembrava una cosa degna di essere raccontata.
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La stupenda immagine che accompagna questo pezzo è Måneskinn over kirkespir (1848) – Knud Andreassen Baade