Hollywood dalla grande depressione all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’importanza essenziale degli sceneggiatori, figure fondamentali nell’industria del cinema, ma raramente raccontate. Attori – Gary Oldman su tutti – di una bravura imbarazzante. Amanda Seyfried e Lily Collins in ruoli – per quanto non complicatissimi – che finalmente le rendono giustizia.
Da incorniciare, e non solo per la prova di Oldman, il personaggio di Herman J. Mankiewicz (il Mank del titolo). Grandissimo il lavoro fatto da Jack Fincher che gli regala una velocità di pensiero e una capacità ironica di leggere la realtà che da sole varrebbero l’intero film e che, giusto per ricordarci quanto gli dei della scrittura a volte siano generosi, affida alla “povera Sara” (Tuppence Middleton anche lei bravissima) una delle frasi d’amore più belle e sofferte – pronunciata con una leggerezza ancora più convincente manco fossimo in una delle migliori pellicole di Woody Allen: “…in questa vita mi sono tanto dedicata a te che devo restarti accanto per sapere come va a finire..”.
Il cinema visto come l’urgenza di raccontare storie e l’acquisizione della consapevolezza dell’enorme potere che la fabbrica della comunicazione si avviava sempre più a conquistare, e così la straordinaria la parabola di Shelly Metcalf, uno dei pochi personaggi inventati del film (anche qui una grande prova per Jamie McShane) anticipa quello che poi sarà l’opera che vediamo nascere per tutto il film, uno dei pilastri del cinema dello scorso secolo: Quarto potere di O. Wells (e Herman J. Mankiewicz).
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