Con un titolo che si rifà al buon Charles Dickens, il Bar delle grandi speranze non poteva – per noi che della scrittura ne abbiamo fatto un lavoro – non farsi notare tra i titoli dalle varie piattaforme.
E, bella conferma, Dickens c’entra davvero con la storia, sia perché dà il nome al bar che diventa un po’ il centro di formazione e scoperta (non solo letteraria, come ogni buon libro dovrebbe fare), del giovanissimo protagonista, sia perché parla, a modo suo, di un (quasi) orfano costretto a inventarsi un posto nel mondo.
E c’entra anche perché il film è tratto dal bel libro (molto autobiografico), “The tender bar” di J. R. Moehringer (quello di Open di Agassi), che omaggia Dickens se non altro per la necessità, scoperta anche grazie a lui, di diventare scrittore.
Gran bel cast, da Tye Sheridan (il protagonista adolescente) a Daniel Ranieri (il protagonista bambino), dal nonno (molto dickensiano, per restare in tema), Christopher Lloyd, alla madre single Lily Rabe, fino a Briana Middleton, perfetta nel ruolo della (quasi)fidanzata sexy, carina e odiosa.
Una nota a parte merita Ben Affleck (che in qualche modo finirà per diventare nella vita di J.R. più importante del padre), forse non è uno di quei grandi attori capaci di interpretare qualsiasi personaggio, ma in alcuni ruoli è perfetto. E questo è uno di quelli.
Bellissima la fotografia di Martin Ruhe, perfettamente al servizio della storia e della regia di George Clooney, più concentrata sul racconto e sugli attori che a voler dimostrare autocompiaciuti virtuosismi.
Una bella boccata di ossigeno insomma.
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