E chissà se non sia tutto iniziato quando i giornali e telegiornali, per indicare l’allegro viaggio verso le località balneari, in un’Italia panciuta e spensierata quando la villeggiatura durava un mese, adottarono il termine “esodo”, estendendone così il significato al linguaggio comune, privandolo dell’originario dramma.
Fatto sta che, complice l’onnipresente “sistema social” che funge benissimo da “moltiplicatore ingenuo” (senza spirito critico), ormai è tutto un fiorire di (inconsapevoli) iperbole.
Non passa mese che non ci sia un “golpe”. Non una settimana che qualcuno non gridi alla “dittatura”.
Oppure “colonizzazione” per l’arrivo di qualche direttore di museo straniero (cosa che in Francia e negli USA è all’ordine del giorno), o “invasione” per il passaggio di qualche migliaio di migranti.
L’ultima querelle si è accesa sull’uso del termine “deportazione” utilizzato da alcuni insegnanti per significare chi avrà il ruolo in una sede lontana da casa.
Il prossimo anno, il 2016, saranno 60 anni esatti da Marcinelle, dove un esodo vide 56.000 precari italiani deportati in Belgio e in un incidente l’8 agosto ne morirono 136 (più 126 stranieri) lasciando 406 orfani.
Riusciremo a spiegare che non si trattava di insegnanti partiti per la villeggiatura in Belgio?
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