Su cosa i brutti risultati del bel Celebration dovrebbero far riflettere

È possibile somministrare la musica de The Doors, Lady Gaga e Beyoncé al solitamente attempato e ultraconservatore pubblico di Rai1?

celebration

A guardare i risultati auditel di questa mattina, con Celebration che si ferma all’11,7% contro il 26,7% di Tu si che Vales sembrerebbe proprio di no, ma può bastare questo a condannare il coraggioso esperimento di (ri)portare la bella musica su Rai 1 come “servizio pubblico”?

Di sicuro adesso, a Viale Mazzini e dintorni, staranno guardando con la lente d’ingrandimento le curve d’ascolto sui vari momenti di show, cercando di capire cosa cambiare per migliorare il dato per le prossime tre puntante, focalizzandosi sui vari particolari: quale gag ha funzionato, quale artista no, dimenticando un aspetto fondamentale.

Il programma è di indubbia qualità, intrattiene e fa cultura (in questo caso musicale), si suona e si canta dal vivo su arrangiamenti originali. Per molti aspetti somiglia ai live di XFactor, col vantaggio di avere volti noti a cantare e lo svantaggio (per la tv), che le esibizioni durano 3 minuti e non 1,30 come per la trasmissione su Sky.

Serena Rossi ha tutte le carte in regola per piacere al pubblico, anche giovane (vestiti terribili a parte, è una ragazza cavolo, perché vestirla come mia nonna negli anni ’50?), mentre Neni Marcorè potrebbe funzionare benissimo per un pubblico di età medio-alta, anche se ha una comicità e ironia sicuramente più complessa di quella dello spettatore medio di Rai 1 cresciuto a Conti & Cirilli.

Quello che davvero non ha funzionato, è l’assoluta mancanza di “comunicazione” rispetto al programma.

Da troppo tempo (complice un auditel che da anni ormai rappresenta solo se stesso), Rai 1 campa di reddita per l’abitudine dei suoi telespettatori che prima di ogni altra cosa, prima ancora di decidere cosa guardare, mettono sul “primo canale” per vedere cosa passa mamma rai.

Questo, se da un lato ha permesso di “tarare” in maniera quasi perfetta la testa degli autori e produttori di programmi per la rete, ha anche creato uno iato, una frattura, tra il pubblico “dinamico” (che poi è quello con il quale la Rai dovrà sempre più misurarsi), e la rete televisiva.

Un programma del genere richiede tutta una serie di strategie comunicative che vadano oltre lo spot istituzionale o il lancino sui social.

Se non crei “community”, se non realizzi uno storytelling efficace, non puoi pensare di innovare o uscire dalla comfort zone delle solite formule, ormai sempre più stantie e destinate a esaurirsi nel tempo.

Youtuber & Fashion Blogger di 15anni ormai lo sanno per default.

Possibile che in Rai nessuno ne abbia mai sentito parlare?

Call to action 1 Max rid2

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