Noi siamo quello che desideriamo. Perciò è giusto criticare la pubblicità di Pandora.

Cosa c’è di male a proporre, per regalo a Natale, un bracciale Pandora al posto di un ferro da stiro, un grembiule o un pigiama?

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Chiara, una mia amica, giovane, arguta e per niente rientrante nei cliché della donna di casa anni ’60, mi faceva notare che per lei l’unico aspetto davvero inquietante di questa storia fosse che ormai il ciondolino di Pandora era diventato un vero simbolo per le ragazze, come saper cucinare, fare il ragù lo era negli anni ’60, ha anche coniato uno slogan: “Pandora è il ragù del 2018”.

Sicuramente ha ragione, almeno dal suo punto di vista, donna emancipata e colta. Come hanno ragione quelli che dicono che se ci si indigna per questo ci sarebbe poi da indignarsi per tantissime altre pubblicità.

Il punto è che noi siamo quello che desideriamo, o quello che potremmo desiderare, e quello che possiamo desiderare ci viene inculcato in tanti modi, non ultimo le pubblicità.

È ovvio che, nella moltitudine di messaggi e argomenti che tutti i giorni ci colpiscono, una sola pubblicità sbagliata non rappresenta davvero un problema.

Facciamo che una ragazzina desideri un avvitatore elettrico o un paio di guantoni da boxe, passa per la metro e legge quella pubblicità, nella sua testa si forma un’immagine di errore, sente di desiderare qualcosa di sbagliato, e quindi, come conseguenza sente come se lei stessa fosse sbagliata. Per fortuna poi torna a casa e magari vede la madre separata che sta riparando l’auto e allora se ne frega della pubblicità.

Ma provate a immaginare se il messaggio di Pandora si moltiplicasse.

Qualche decina di anni fa, prima della rivoluzione culturale degli anni ’60, sotto la stessa stazione avremmo potuto trovare una pubblicità che poteva recitare più o meno così: per festeggiare i tuoi 16 anni vuoi sposarti e accudire tuo marito, preferisci aiutare papà in bottega o vuoi lavorare in casa con tua madre? In ogni caso scegli i prodotti Splendent per rendere i tuoi uomini fieri di te!

Probabilmente nessuno, neanche le donne, si sarebbero indignate o avrebbe criticato quella pubblicità. Era solo una rappresentazione dei desideri, e quindi delle possibilità del tempo.

Ma adesso, nonostante i problemi e i distinguo del caso, i tempi sono cambiati. Molte lotte, anche pesantemente dolorose, sono state fatte e tante battaglie per una società più equa sono state vinte.

Non criticare quella pubblicità vorrebbe dire, anche se fosse davvero per un unico e isolato esempio, dimenticare tutta la strada fatta per arrivare fin qui e ignorare quanto sia costata. E in una società tendenzialmente maschilista e ancora pesantemente sbilanciata come la nostra non mi sembra una buona idea…

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