Riuscire ad attirare l’attenzione dei passanti, in questo pezzo di strada della Pignasecca, antico mercato napoletano e margine estremo dei Quartieri Spagnoli, è un’impresa che a confronto Ercole avrebbe ricominciato le sue dodici dall’inizio altre tre volte. Immaginate una strada stretta, fiumane di persone a formare due opposte correnti e ripetute bancarelle (pesce, frutta, verdura e ogni altro ben di Dio) piazzate come scogli tra il marciapiede e la strada.
Radio, iPod, chiacchiere ad alta voce (e in almeno cinque lingue più una dozzina di dialetti diversi), sirene e clacson. Provate ora a pensare al modo di far sapere al mondo di potenziali clienti, che distratto e disinteressato sta passando accanto all’entrata, dell’esistenza del vostro locale.
La signora Francesca e i figli Attilio (come il nonno fondatore) e Angelina hanno trovato un modo bellissimo, a suo modo poetico. Niente rumore aggiunto a rumore, insegne chiassose, luci e altre distrazioni. Il compito qui è affidato ai semplici bacetti di pizza, alloggiati, tra le classiche pizzette e calzoni, in un banco vetrina sulla soglia del locale. Poco più grandi di un bocciolo di rosa (e non a caso in altri posti sono chiamati rosette), i piccoli bocconcini di pasta della pizza, vengono farciti (mozzarella, melanzane, pancetta), avvolti su loro stessi e cotti al forno. Fumanti e discreti, grazie alle dimensioni contenute, ti fanno fermare anche se non è proprio ora di pranzo: la parte esterna croccante e profumata dalla legna, l’interno, morbidissimo per la mozzarella sciolta, gustoso per i pezzetti di melanzana. Un vero godimento. Costano pochissimo e sono leggeri. Ce ne sarebbe già abbastanza per essere soddisfatti.
La cucina, all’altro capo del piccolo locale, ha la parte alta del muro divisorio in vetro, così da essere praticamente a vista, altro particolare che rende simpatico questo tipo di locali. Mi piace poter guardare in faccia chi sta cucinando per me.
Oltre alla pizza (in tutte le classiche varianti), qui è possibile trovare una bella riproposizione della cucina tipica napoletana, a cominciare da pasta e fagioli, pasta e ceci o addirittura pasta e lenticchie. I legumi, m’assicura la signora Francesca (che porta avanti questo locale da quarant’anni), sono esclusivamente quelli secchi, che lei stessa mette in ammollo dal giorno prima. Mangiare pasta e lenticchie in questo locale è un po’ come quando da studenti, tipo di mercoledì, si capitava improvvisamente a casa di qualche amico e la madre aggiungeva semplicemente un piatto ai quattro o cinque già in tavola. Il sapore è proprio lo stesso, onesto, pulito, rassicurante.
La brace, che è quella profumata del forno per la pizza, si impone sui secondi piatti: gamberoni o pesce (orata o spigola) alla brace. Ma il piatto che forse riesce più a stuzzicare è il tonno gratinato al forno: marinato per una mezza giornata con cipolla, aglio, peperoncino e olio rigorosamente campano, viene semplicemente infornato come fosse una pizza. Qui l’aroma del legno si lega a quello della marinatura e l’alta temperatura blocca nella carne tutti gli umori rendendolo croccante fuori e succoso dentro.
(brano tratto dal mio 90passi nella gastronomia napoletana del 2011)