90passi – La fine dei Mondiali (e la pasta al forno).

Ci sono delle preparazioni che fanno subito “casa”. Hai voglia a mascherare il tuo locale da focolare domestico, hai voglia a creare un rapporto di confidenza con i clienti e mettere le parole più evocative che si possano immaginare nell’insegna, alla fine, se il tassello fondamentale della preparazione non custodisce la necessaria maestria, è tutto inutile.

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Per non parlare delle tante scorciatoie che l’industria alimentare offre alla ristorazione (addensanti e glutammato su tutto). Certo, se hai i mezzi per farti una pubblicità martellante riuscirai anche a far credere che i biscotti di Nonna Maria (con dentro siero di latte in polvere, sciroppo di glucosio-fruttosio, olio di palma, ecc.) sono come quelli che impastava tua nonna, ma se hai la fortuna di avere una nonna che può ancora farteli, non c’è partita. Per forza.

E poi ci sono dei piatti che fanno subito “festa”. Non per il costo degli ingredienti o la particolare difficoltà della preparazione, spesso è solo perché richiedono tempi di realizzazioni più lunghi del poco tempo che ci rimane per queste cose. Ma questi, quando ben fatti, hanno un immediato valore aggiunto, evocativo.

Quando ho chiesto alla gentile signora Carmela cosa consigliasse per pranzo, alla risposta paccheri al forno sono rimasto in ugual misura tentato e preoccupato. Il timore che fosse servito il solito pastrocchio pieno di besciamella, salato e molliccio, direttamente resuscitato al microonde, era forte. E di certo l’ambiente rustico, particolarmente curato (gli archi a mattoncino, le piastrelle vietresi, le tovaglie a quadrettoni) non poteva bastare a rassicurarmi.

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Ma, davanti a una proposta così allettante, l’unica era ordinare e incrociare le dita. Una decina di minuti e una generosa porzione di paccheri, sistemati proprio in mezzo al piatto a formare una sorta parallelepipedo alto almeno dodici, tredici centimetri, è arrivata fumante in tavola. La cottura della pasta (sicuramente di Gragnano) risultava perfetta, i maccheroni, compatti, offrivano una giusta resistenza alla masticazione, cosa non semplice per questo tipo di preparazione.

Per riuscirci, bisogna avere molta esperienza con i tempi di cottura e scolare i paccheri sapientemente al dente, dal momento che subiranno una nuova cottura nel forno. Niente besciamella (alleluia), niente scorciatoie. Il compito di rendere speciale e di dare la giusta, golosa morbidezza al piatto era affidato alle sole ricotta e mozzarella, che se non sono di buonissima qualità rischiano di assomigliare tristemente al formaggino. E ancora tante polpettine di carne, che fritte prima di completarne la cottura nel sugo di pomodoro, danno alla salsa una buona profondità di gusto. Ottimi. Un vero sapore della memoria, senza trucchi o artifici, di quando si avevano ospiti e la domenica era ancora un giorno di festa.

A portare avanti il locale, fondato da Carmine Romano nel 1967, ora che da qualche tempo è scomparso, c’è la figlia Adele con il marito Eduardo e la signora Carmela, che mantiene fede alla tradizione gastronomica iniziata dal fondatore.

Oggi, per chi scrive, è la giornata in cui l’Italia è stata malamente eliminata dai mondiali sudafricani. Provate a ricordare cosa avete mangiato quel giorno a pranzo. Ci riuscite? No? Io, grazie al cielo, riuscirò a ricordare perfettamente il sapore di quei paccheri al forno molto più a lungo del nome degli avversari dell’Italia.

Ma forse, non sono un gran tifoso.

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(anche questo brano è tratto dal mio 90passi nella gastronomia napoletana, scritto nel lontano 2010. Da una veloce ricerca su google mi sembra di aver capito, con un certo piacere, che l’Antica trattoria da Carmine è sempre lì pronta ad accogliere clienti.  Per i più curiosi, rileggendo questo brano il gusto di quei maccheroni lo ricordo, ignoro completamente invece gli avversari dell’Italia di quella partita.).

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