Non c’è nulla da fare. Solo alcune zone di Parigi sono belle come la zona di Via Luca Giordano in autunno. Forse lo è anche New York, ma non ci sono mai stato. È già sera, e camminando lungo il grosso marciapiede, con i rami quasi del tutto svestiti sopra la testa e le foglie sotto gli stivali, mentre panchine ascoltano innocenti promesse dalle coppiette strette dal vento, attacca il sax blue elettrico di Sergio Caputo. Ragazze sfilano veloci, borse della palestra. Un papà ancora incredulo spinge il passeggino, la moglie al braccio.
È proprio una di quelle serate blue, se riuscite a capirmi.
A questa bella malinconia ognuno ama reagire in modo diverso, c’è chi ne ha paura e sceglie il caos, la movida, c’è chi l’asseconda e si fionda nel primo locale dove qualche bluesman è disposto a piangere tutta la serata su tre o quattro accordi. Ma in una sera del genere forse è meglio rallentare, assaporare i ricordi e le sensazioni che ancora si riescono a provare.
Ancora pochi passi e c’è via Bernini, con l’antica cantina di sica.
Dalla strada, l’entrata ti accompagna attraverso un corridoio sapientemente illuminato all’interno del locale. Ampio, tanto spazio per muoversi e per sedersi tranquilli, ma allo stesso tempo raccolto, grazie alle luci discrete. Il pavimento in cotto e le pareti chiare fanno alzare lo sguardo al soffitto che, meraviglia, è fatto da tre volte intervallate da tre archi, tutte d’autentici mattonicini (la costruzione sarà di un paio di secoli fa). Alle pareti, mensole massello con tante bottiglie di vino a ricordare che nel lontano 1936 questo posto nasceva come piccola fiaschetteria.
Il proprietario-oste del tempo, allora, per attirare e far sì che gli avventori si fermassero a bere di più, prese a preparare piccoli pasti da accompagnare al vino che spillava, e gli avventori, vuoi per l’atmosfera del posto, vuoi per la qualità del vino o del cibo, cominciarono ad arrivare numerosi. Tra loro molti artisti o affamati d’arte, alcuni famosi, come i De Filippo o Marinetti (le loro dediche sono gelosamente custodite nell’altra sala del locale, dove si tengono simposi e degustazioni), altri forse solo meno fortunati, ma che qualcosa hanno comunque lasciato all’atmosfera di questa sera.
L’idea di una cucina semplice e tradizionale è restata nell’intenzioni del direttore Ciro Felleca. Qui la genovese ha tutto il suo senso: la carne, lasciata cuocere per ore nella salsa di cipolle arricchita con il classico soffritto, deglassato con un po’ di vino bianco, diventa tenerissima e succulenta, così da accompagnare, in uno dei piatti unici napoletani più antichi, i deliziosi maccheroni.
Da assaggiare poi l’ottima spigola in crosta di sale fino. Lo chef Ciro Iacovelli sta lavorando molto sui sapori di mare, provando a coniugare i sapori della tradizione con un giusta dose di ricerca, e così sono nati, dopo alcuni tentativi e aggiustamenti i paccheri fagioli e gamberoni.
Ampia la carta dei vini con prodotti italiani e campani, soliti ma anche ricercarti, con una buona rotazione semestrale.
Altro punto forte del locale è il grande assortimento di dessert, sempre preparati dallo chef Babà, tiramisù, pastiera, caprese e altri grandi classici della pasticceria napoletana.
Ma in una sera come questa, per chiudere in davvero in bellezza, c’è bisogno di un sapore antico e meno frequentato, la cassata napoletana infornata. Prima un bicchierino di vino alle mandorle. La cassata napoletana è solo una lontana parente di quella siciliana: tanto è allegra quella, tanto è riservata questa. Pan di spagna, crema di ricotta e zucchero, un po’ di liquore, gocce di cioccolato, il tutto avvolto in una crosta di pastafrolla e poi cotto al forno.
Deliziosa, calda, ricca e profumata come il ricordo della prima donna che t’ha fatto impazzire.
“… e adesso chi ti ferma più / il resto come dici tu / il resto è solo jazz freddissimo…”
[1].
Appena fuori dal locale Sergio Caputo riprende a cantare.
È tardi e comincia a piovere piano.
(anche questo brano è tratto dal mio 90passi nella gastronomia napoletana, scritto nel lontano 2010. Oggi, da una veloce ricerca su internet, pare che il locale non esista più.)
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[1] Blu elettrico è una delle canzoni più belle mai scritte da Sergio Caputo. Fa parte del cd I love Jazz del 1995.
L’immagine è quella celeberrima della Terrazza del caffè la sera di Van Gogh.