Ecco. Questo è proprio uno di quei posti che mi piacciono sul serio. Basta scambiare due parole con il proprietario, Pino Artigiano, per capire lo spirito e la filosofia del suo locale (Locanda ‘Ntrettella). Parlando dei lussuosi e affollatissimi ristoranti (siamo in estate) del lungomare, Pino liquida la faccenda con una sola frase: «Non mi piacerebbe averlo neanche se me lo regalassero, io voglio fare il ristoratore, mica il porta-gente».
Basta. Finito.
Non c’è bisogno di aggiungere dell’altro. Dietro questa frase c’è tutto un mondo (comprese le difficoltà) che si nasconde nella piccola ristorazione napoletana, quello dei locali che hanno una trentina di posti e che scelgono di non fare la pizza, quello dei locali che mantengono salda la tradizione ma s’affacciano anche su una cucina capace di accontentare i gusti sempre più standardizzati dei turisti. Il mondo dei ristoratori che cercano di offrire dei prodotti di qualità (in questo caso carne toscana, suino nero casertano e pesce fresco), ben sapendo che con la spietata concorrenza della pizza (buona, tipica ed economica) i clienti disposti a spendere in una locanda oltre i venti euro sono più rari di una margherita preparata secondo tutte le regole del disciplinare.
Il menu si presenta abbastanza vario, ci sono i grandi classici napoletani come la genovese, gli spaghetti a vongole, i cannelloni, i fusilli con la ricotta, e discostandosi un po’ la calamarata con rucola, cozze e scaglie di parmigiano, le farfalle al salmone, i maccheroncini gorgonzola e noci, i paccheri con vongole e pesce spada, gli spaghetti con la bottarga e i pomodorini, e ancora gli spaghetti di farro con cacioricotta e olio; per i secondi, e assolutamente consigliati, la brace di carne toscana, la fresca pizzaiola, e da non perdere le salsicce di maiale nero casertano con le papacelle (piccoli peperoni conservati sotto aceto).
Per il pesce, da riscoprire il baccalà fritto o, per chi non l’avesse mai assaggiato, il pesce spada in casseruola al pepe rosa. Buona la scelta dei vini, con una trentina di bottiglie a disposizione del cliente.
Capitolo a parte, il dolce. Sempre nell’ottica di quella che, almeno secondo me, dovrebbe essere la buona ristorazione, e cioè la ricerca costante del meglio possibile da offrire al cliente, il nostro Pino Artigiano, anziché rifornire il suo carrello dei soliti pezzi di pasticceria napoletana, troppo spesso da bar, o di improbabili tentativi caserecci, ha ben pensato di rivolgersi a Pasquale Marigliano (pluripremiato maestro pasticcere) perché gli scrivesse lui, tramite l’ormai celebre laboratorio di San Gennariello (sempre nella provincia di Napoli), il capitolo dolci e dessert.
Chi non ha mai mangiato il suo panettone, in realtà, non ha mai mangiato il panettone. C’è la stessa differenza che passava tra il primo bacio dato a bocca chiusa e quello vero, quando finalmente la vostra ragazzina si era decisa a schiudere le labbra, dopo aver chiuso gli occhi.
Fino a quel momento avevi voglia a vantarti di aver baciato. Non era vero.
(anche questo brano è tratto dal mio 90passi nella gastronomia napoletana, scritto nel lontano 2010. Anche la locanda ‘Ntrettella continua, con la famiglia Artigiano, a offrire la sua idea di ristorazione ai clienti. Non so se serve ancora i dolci di Pasquale Marigliano.)
La bellissima opera che accompagna il post è Inverno a ponte Scodogna di Attilio Marchetti.
Se hai trovato questo articolo interessante, condividilo sul tuo profilo. Metti “in rete” la “cultura”, grazie!