1994 Ep5 – La cosa più confortante della tv italiana degli ultimi anni..

L’episodio 5 di 1994 (ma tecnicamente sarebbe la terza stagione di 1992) è una di quelle vette narrative che ti riconciliano con film, tv, libri, tutto quello che ha, in qualche modo, a che fare con l’arte di narrare storie.

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E, trattandosi di un prodotto seriale italiano di solito molto lontano dai livelli che le serie d’Oltreoceano abitualmente ci offrono, la soddisfazione è doppia e la possibilità che anche altre produzioni nostrane abbandonino l’idea che il pubblico nazionale sia composto solo da “vecchi (e qui naturalmente mi riferisco all’età mentale, non a quella anagrafica) incapaci di provare qualsiasi curiosità e senza voglia di crescere, mi conforta.

In questo episodio, concepito quasi come un film a parte, un “unicum” che si incastra però perfettamente nella struttura del racconto generale, quello che è un motivo di debolezza per noi italiani, doverci adattare a un genere – quello seriale – che è stato inventato da altri, diventa un grande punto di forza.

E così alla matrice un po’ alla House of card (che fa da timone di questa ultima stagione), si somma lo sguardo lirico del Young Pope di Sorrentino, all’innesto di personaggi fiction su panorami di cronaca all’Aquarius si aggiunge una costruzione di grande suggestione cinefila come la voice off del protagonista morto che accompagna tutto il film e che rimanda per i toni (anche se l’immagine del cadavere che galleggia sull’acqua è un chiaro riferimento al Gillis di Viale del tramonto), al Lester di American Beauty.

Bellissime le due citazioni poetiche che gli sceneggiatori (bravissimi) Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo e Alessandro Fabbro, infilano nel lungo raccontare che Paolo Pellegrini (Maurizio Lombardi) fa per introdurre, spiegare o commentare le scene.

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La prima di T. Elliot“L’ardimento terribile di un attimo di abbandono che un secolo di prudenza non potrà mai ritrattare per questo, e questo soltanto, noi siamo esistiti… che non si troverà nei nostri necrologi.”, la seconda è di Bukowski “Capiscimi. Non sono come un mondo ordinario. Ho la mia pazzia, vivo in unaltra dimensione e non ho tempo per le cose che non hanno un‘anima.”

Bello che per la seconda l’attribuzione all’autore sia stata esplicita mentre per la prima sia stata lasciata sospesa, come se Paolo Pellegrini non ricordasse chi l’avesse detta. Anche questa è ottima scuola.

Notevole anche la cura (altro aspetto raramente pensato per le serie italiane) dedicata alla colonna sonora, chiudere con Black Hole Sun, dopo la parentesi ultra-kitsch del siparietto Smaila, ha del genio.

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In chiusura una nota su Miriam Leone, una delle migliori attrici della sua generazione, ammirevole come – a differenze delle tante “colleghe” – non dia mai l’impressione che abbia paura di sporcarsi o che possa pensare alla recitazione solo come un altro modo per poter stare in tv. Speriamo non le manchi il coraggio di lanciarsi in progetti ancora più complicati.

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