Non il testo più celebre della Wharton ma, probabilmente, uno di quelli che andrebbero recuperati.
Mai come in Ethan Frome la “società della ricchezza” della Wharton viene messa – pur se del tutto assente – al centro della narrazione insieme al tema della prigionia – vero protagonista – che assume, nel finale, un gusto tanto grottesco da risultare contemporaneo, riscattando il romanzo dai segni del tempo che il cambiamento di costumi ha solcato in maniera impietosa.
Ethan Frome e la sua amata Mattie Silver nascono prigionieri della loro misera condizione economica e né l’intelligenza e il talento di Ethan né la passione e la bellezza di Mattie né, meno che meno, l’amore immenso che i due provano potrà liberarli anzi, il drammatico tentativo di fuga dalla loro prigionia li farà precipitare in una costrizione ancora più profonda dove la povera e incolpevole Zeena farà da carceriere – in uno dei finali più scioccanti e claustrofobici mai composti per un romanzo del genere – a quello che resta dei due infelici amanti.
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