Almeno due sono le cose che fanno di questo caposaldo della fantascienza uno di quei libri da leggere al di là delle preferenze del genere e della data di pubblicazione, e sono due intuizioni “geniali” del nostro Wells.
Descrizioni, ritmo, fantasia nelle imprevedibili implicazioni negative del diventare invisibile (davanti a questa prospettiva non è che la prima cosa che si va a pensare è “come diavolo farò a coprirmi per difendermi dal freddo?”), un bello spaccato sulla società di fine ‘900 in Inghilterra, il valore della scoperta scientifica (in una società ancora non del tutto pronta). Tutte cose raccontate in modo egregio da un grande narratore. Ma non sono queste le due che dicevo sopra.
Il “montaggio”, o più esplicitamente la linea temporale che usa Wells per raccontare la sua storia. Già dalla prima pagina siamo catapultati in una vicenda nel pieno della sua evoluzione e solo dopo un bel po’ che abbiamo preso confidenza col protagonista l’autore ci accorderà il privilegio di raccontarci quanto successo in precedenza. Geniale.
Seconda cosa. Jack Griffin/l’uomo invisibile è un albino, e per questa sua particolarità che lo rendeva visibilissimo tra la gente (a 20 anni aveva capelli e baffi completamente bianchi), veniva sistematicamente ignorato e messo da parte dagli altri. Gli ci vorrà il dono (condanna) dell’invisibilità per diventare il più ricercato, temuto e considerato da tutti. Geniale.