Per niente facile parlare di quello che, con grande probabilità, sarà il capolavoro assoluto di Mike McCormack. Certo, c’è il flusso di coscienza e una notevole sperimentazione (non a caso siamo in Irlanda), ma cosa resta del 2 novembre di Marcus Conway a noi lettori?
Di “bilanci” sotto forma di romanzi (o film) la narrazione contemporanea ne è piena, basti pensare all’immenso Benedizione di Haruf, ma c’è qualcosa che rende indimenticabile il racconto del pezzo di vita che Marcus Conway regala ai suoi lettori (che forse meglio faremmo a definire ascoltatori).
Anche qui, forse, c’entra qualcosa che tutto parta dall’Irlanda e dai rintocchi della campana dell’Angelus ed è una visione a-religiosa, materialistica, meccanicistica (non a caso il protagonista è un ingegnere), dove le pale eoliche diventano cattedrali e moderni dei e con una chiave inglese puoi togliere e ridare “la vita” – nel senso esteso di “creazione” – a un miracolo di meccanica come un trattore.
Mai consolatorio, spaventato o indulgente lo sguardo di Conway sembra appagarsi solo nella fugace mezz’ora passata a contemplare e poi assaporare un piccolo miracolo di “meccanica culinaria” che è il panino che ha ordinato al bar.
Una mezz’ora che diventa un monito nella facile (ma appena suggerita) metafora del bar come mondo e di quanto si potrebbe vivere meglio il solo tempo che ci è concesso se solo le persone fossero, non partecipative o pronte ad assisterti – per McCormack questo è davvero aspettarsi troppo – ma che si limitassero, cito quasi testualmente, a “non volerti alcun male e a essere felici per te sapendo che stai vivendo una buona mezz’ora”.
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