I morti non sono tutti uguali. O meglio. I morti sono tutti uguali, ma i vivi no.
E’ un’affermazione impegnativa, me ne rendo conto e vi chiedo di avere la pazienza e la cortesia di provare a seguire, con animo imbelle le prossime righe.
Faccio una piccola ma gigantesca premessa: sono assolutamente convinto, e pronto a combattere fino allo stremo contro chi volesse creare una legge che affermasse il contrario, che il valore su questa terra e in un eventuale aldilà (comunque la vostra fede o religione l’immagini) sia assolutamente uguale e paritario per ogni essere umano a prescindere dalla nazionalità, fede o religione. E ho evitato di proposito di inserire la discriminante colore della pelle o peggio ancora “razza” perché troverei offensivo e contro qualsiasi buonsenso (fede o religione) solo doverlo specificare.
Detto questo: sui social, e non solo, abbiamo visto una grandissima partecipazione emotiva al lutto dopo la strage di Parigi sfociata nella condivisione delle varie opere commemorative (la Tour Eiffel di Banksy su tutte) fino alla sostituzione della propria foto del profilo con quella elaborata con i colori francesi.
Da allora altre stragi XX si sono succedute tanto da generare un certo malessere (sui social e no) con conseguente accusa di ipocrisia, effetto gregge o addirittura malafede.
Bene. Fino a qui tutto scontato e perfettamente inserito nel “gioco delle parti” che sempre si verifica sui social davanti agli eventi globali: ci sono gli emotivi che condividono tutto e sparano rip e candele in maniera compulsiva, i cinici che cercano di distinguersi dissacrando l’avvenuto, i complottisti che trovano comunque il modo di incolpare Israele e gli USA, i fustigatori che ammoniscono di quanto sia ingiusto soffrire su una particolare disgrazia e ignorare le altre.
Ma nel caso specifico della crisi che stiamo vivendo in questi giorni la prevalenza di “fustigatori” su social e in tv, indicativa la filippica di Crozza con la sua battuta “partecipiamo alle stragi solo se abbiamo un souvenir della città sul frigorifero”, mi ha convinto a scrivere questo pezzo.
Alla fine, è davvero così semplice liquidare la questione? Le persone che hanno condiviso e colorato il proprio profilo, sono solo false e ipocrite? Possibile che della magistrale lezione di Eduardo sulla seconda guerra mondiale sigillata nella celebre frase, detta prima a voce bassa in napoletano “e muorte so’ tutte eguali” e subito ripetuta in italiano a voce piena (come il Maestro era solito fare) “i morti sono tutti uguali” non ci sia rimasto più nulla?
Proviamo a riflettere.
Esiste un meccanismo che ha permesso alla razza umana (tutta, a prescindere da nazionalità, fede e religione) di evolversi e sopravvivere a qualche glaciazione, caduta di meteoriti, super terremoti, tempeste apocalittiche, tsunami e carestie per noi inimmaginabili, legato all’empatia e all’istinto di conservazione.
Empatia e istinto di conservazione.
La nostra vita, quella dei nostri cari, quella dei nostri conoscenti, connazionali o accomunati dalla stessa religione è oggettivamente “in pericolo” ogni santo giorno, e in questo il terrorismo c’entra statisticamente poco o nulla.
Ogni santo giorno milioni di persone muoiono per le più svariate ragioni (in ogni parte del mondo), di queste qualche centinaia di migliaia sono della nostra stessa religione, moltissime sono nostre connazionali, e statisticamente, qualcuna può essere un conoscente o addirittura un familiare.
E’ chiaro che se non fossimo protetti dall’empatia, quel maccanismo che ci fa soffrire in maniera sempre più profonda quanto più ci sentiamo empatici verso la persona che muore ma se soffrissimo per ogni morte allo stesso modo passeremmo la nostra esistenza in uno stato di tale e profonda prostrazione, dolore e depressione, da non permettere agli altri nostri istinti, primi tra tutti l’appetto e la libido, di sfamarci e “accoppiarci” e quindi far sopravvivere e perpetuare la specie.
In poche parole, se sentissimo l’esigenza di cambiare l’immagine di facebook a ogni tragedia, la razza umana si estinguerebbe in breve tempo (cosa che l’istinto di conservazione della specie, fortunatamente, ci vieta).
Ma cosa accende o spegne l’empatia verso una situazione?
Primo tra tutti la distanza. Che sia geografica o ideale poco conta. Diventa quindi assolutamente normale, per noi sentirsi più vicini agli abitanti di Parigi o New York che a quelli di Mali (che a molti sfugge anche dove si trovi).
Secondo fattore è la “simiglianza” vale a dire l’essere simile a chi è coinvolto in una tragedia. Siamo, o ci percepiamo, molto più simili ai ragazzi francesi o newyorkesi piuttosto che a quelli di un villaggio indiano o di un paese africano. Sia chiaro, non “percepirsi” simili non vuol dire che loro siano diversi o che, è solo una questione di quanto tempo impiega la nostra mente a restituirci l’immagine di un gruppo sociale a noi lontano. Se dico ragazzo di Londra mentre leggete avete già una precisa immagine mentale, se dico ragazzo di Bamako impiegate (se ci riuscite) qualche frazione di tempo maggiore. E quindi, minore empatia.
Altro fattore, la consuetudine. Tanto più l’episodio accade in una circostanza consueta maggiore è l’empatia. Un ristorante che esplode vi farà sentire più partecipi rispetto a una tragedia accaduta in un sottomarino.
Quindi per chiudere questo lunghissimo post, è chiaro e sacrosanto che i morti continuino a essere tutti uguali ma per la nostra mente è quello che fossero da vivi – nell’attimo prima della tragedia – a fare una triste, ma inevitabile, differenza.
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Credo sia vero quello che è scritto in questo articolo, ma il problema è più grande. Il problema non è in ciò che è o si crede di essere, ma in ciò che ci fanno credere di essere. Ad esempio, cosa cambia tra noi ed un russo? Credo che tutti noi vediamo il russo simile a noi allo stesso modo di un tedesco, un ucraino o un finlandese. Però dell’aereo abbattuto sul Sinai se n’è parlato poco e nessuno ha ricoperto la sua immagine del profilo con la bandiera russa. E perché non parliamo del bambino profugo, morto ma “che sembrava dormisse” in riva al mare? Quella foto del bambino che non era europeo, è “servita” (è brutto dirlo, ma ahimé è così) per far sì che i popoli europei accettassero l’apertura delle frontiere e questo dopo avergli fatto credere per anni che gli immigrati erano brutti e cattivi.
Il problema dunque è legato all’informazione. L’informazione attuale potrebbe renderci davvero tutti per la prima volta cittadini del mondo. E invece ci tiene separati, perché è il più grande strumento col quale si tiene in piedi questa società, divisa in classi, che permette l’esistenza di questo sistema economico e del relativo sistema politico che contraddice costantemente, per denaro principalmente, i principi su cui è nato… principi che forse contraddiceva già alla nascita.
Se davvero lo si volesse si potrebbe far sentire vicine tutte le stragi, senza confini spaziali o temporali e anche annullarle. Ma non si può, il potere sorveglia e punisce tramite le divisioni tra i dominati e non può permettere che i dominati si uniscano, altrimenti imploderebbe semplicemente. Un esempio di divisione tra i dominati? Chi, in buona fede (perché la divisione avviene quasi sempre inconsciamente), mette la bandiera della Francia sulla propria immagine del profilo non sta facendo altro che rendere accettabile la guerra che la Francia vuole muovere all’ISIS (che ricordo, è composto da 10.000 persone e nei bombardamenti recenti di al Raqqa ne sono morti 5.500) rivolgendosi contro i “bastardi islamici” piuttosto che contro chi abbatte illegittimamente i governi, causando queste situazioni di crisi che scatenano a loro volta tutto questo dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi e ancora in futuro, vende le armi ai terroristi o ai loro amici e compra il petrolio da loro a prezzi di vantaggio.
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ciao. l’ipocrisia non sta nel piangere per questo o per quel morto, ma nel fatto di non dare mai risalto a quello che accade fuori dalla nostra porta di casa. la siria prima di parigi non se l’era cacata nessuno eppure morivano in migliaia, gli attentati dei giorni immediatamente precedenti a quello di parigi sono passati come un incidente aereo e una bomba a Beirut. L’ipocrisia sta nel parlare sempre e solo di quel “gossip da persone acculturate” chiamato politica (italiana) e mai di quello che succede nel mondo. E’ questa l’ipocrisia. Non credo che nessuna persona con un minimo coscienza possa essere rimasta indifferente davanti ai fatti di Parigi. Così come oggi durante i funerali della ragazza italiana, la commozione era difficile da controllare. quello che dice lei è verissimo, che senso ha disperarci per cose o persone che sentiamo distanti da noi, dal nostro stile di vita dalla nostra cultura? E’ prorpio qui che però si cela l’ipocrisia. Conosciamo quei posti conosciamo le loro culture? eppure sono a 3 ore di areo da noi (molto più vicini di new york o di sidney per dire). e molto probabilmente se l’occidente non avesse commesso gli errori che ha commesso in nome del petrolio e degli altri interessi economici sarebbero dei posti meravigliosi dove vivere.
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